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Trovati 10 documenti.

Auto da fé
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Canetti, Elias

Auto da fé

Adelphi, 23/01/2018

Abstract: Da una parte un grande studioso, Kien, che disprezza i professori, ritiene superflui e sgradevoli i contatti col mondo e ama in fondo una cosa sola: i libri. Dall'altra la sua governante, Therese, che raccoglie in sé le più raffinate essenze della meschinità umana. Romanzo primo e unico di Canetti, opera solitaria ed estrema, segnata dalla intransigente felicità degli inizi, "Auto da fé" racconta l'incrociarsi di queste due remote traiettorie e ciò che ne consegue – la minuziosa, feroce vendetta della vita su Kien, che aveva voluto eluderla con la stessa acribia con cui analizzava un testo antico.

Il gioco degli occhi. Storia di una vita (1931-1937)
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Canetti, Elias

Il gioco degli occhi. Storia di una vita (1931-1937)

Adelphi, 05/06/2018

Abstract: All'inizio di questo libro, il terzo della sua autobiografia, Canetti ci appare circondato dai relitti fumanti del rogo in cui sono stati distrutti i libri di Kien, il protagonista di "Auto da fé". Attorno a sé, vede il deserto e un'incombente rovina. Poi, a poco a poco, la scena ricomincia a popolarsi, e le figure che vi si mostrano sono memorabili. Innanzitutto Hermann Broch, che ci viene incontro come "un uccello, grande e bellissimo, ma con le ali mozze". Poi Hermann Scherchen, l'infaticabile direttore d'orchestra "sempre alla ricerca del nuovo". Poi Anna Mahler, figlia del compositore, con la quale Canetti intreccia un complesso rapporto amoroso. Poi lo scultore Fritz Wotruba, irruento e selvaggio, come "una pantera nera che si nutrisse di pietra". Infine Musil, "sempre in armi, pronto alla difesa e all'attacco", nel suo totale isolamento; e Alban Berg, che si espone al mondo nella sua totale gentilezza d'animo, mentre un lieve cenno di ironia gli sfiora la bocca. E, ogni volta, in questi ritratti in movimento, avvertiamo lo straordinario dono fisiognomico di Canetti. Un gesto, un modo di respirare, un accento, una reticenza, tutto diventa cifra di una figura, emblema di un qualcosa di unico, che però svela un tratto della natura di cui siamo fatti. Dietro a quel dono riconosciamo una fonte inesauribile dello scrittore Canetti: la sua "passione per le persone".A mano a mano che si delineano i profili delle figure, risalta anche, come una presenza palpabile, lo sfondo: Vienna. Di questa città, vista nei suoi ultimi anni di grandezza, nessuno ha saputo tracciare un ritratto altrettanto preciso e affascinante. Come la Vienna dell'"Uomo senza qualità", sull'orlo della prima guerra mondiale, questa di Canetti, negli anni che precedono l'annessione nazista, è un sistema di orbite planetarie, dove conducono esistenze parallele alcune forme pure ed estreme del vero e del falso. Per Canetti, il vero erano sei o sette persone che "seguivano una propria strada e non se ne lasciavano distogliere da nessuno". Il falso era un fitto "gracidio di rane", che proveniva da un mondo culturale pieno di vanità e di sapienza mondana, prodigiosamente abile nel giocare le sue carte e insieme inconsistente nel suo ultimo fondo. In questi anni, Canetti attraversa tutte queste orbite incompatibili e qui le descrive con la trascinante immediatezza del romanziere. Ma il vero centro di questo sistema, il suo Sole, è una singola persona, il dottor Sonne, che vuole dire appunto "sole". Osservato per lungo tempo ai tavoli del Café Museum, poi conosciuto e ammirato, quest'uomo che "parlava come Musil scriveva" diventa a poco a poco il centro di gravità nella vita di Canetti, un'ombra benefica, un "invisibile" Sarastro. A differenza dei tanti che si gonfiano e che si agitano, Sonne non ha, apparentemente, un'opera a cui dedicarsi e non si lascia prendere dall'eccitazione. Parla di tutto fuorché di sé, e ogni volta la sua parola illumina quella singola cosa che cade sotto il suo sguardo. In una città sonnambolica e straparlante, è colui che veglia, come la luce discreta e solitaria dietro una finestra, di notte. Col personaggio di Sonne, Canetti ha svelato uno dei suoi segreti e costruito una grande figura romanzesca. Ma non soltanto questo: ha trovato l'occulto punto di equilibrio da cui osservare i rotanti astri viennesi, che solo da quel punto diventano pienamente percepibili."Il gioco degli occhi" è apparso per la prima volta nel 1985.

Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931)
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Canetti, Elias

Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931)

Adelphi, 19/06/2018

Abstract: Questa seconda parte dell'autobiografia di Elias Canetti si apre subito dopo la "cacciata dal paradiso" di Zurigo, che chiudeva "La lingua salvata". Ora siamo a Francoforte, nel 1921, e il giovane Elias comincia a intravedere intorno a sé un nuovo mondo, formicolante di figure che cercano di sopravvivere fra "inflazione e impotenza". "Era finita per sempre l'epoca in cui l'ignoto si riversava in me, senza incontrare ostacoli". Dalla ricettività totale dei primi anni si passa ora a uno scontro con tutto e con tutti, che permette a Canetti di saggiare se stesso, di scoprirsi nella sua irriducibile peculiarità. Se a quest'ultima si può dare un nome, sarà quello della rivolta contro la morte, una rivolta "senza fine". La giovinezza di Canetti è un'iniziazione a questa scoperta, vissuta facendo appello a tutte le potenze arcaiche, che lo hanno sempre assistito. Nell'ombra, il modello mitologico è Gilgamesh, che traversa le acque della morte per trovare la vita eterna. Ed è lo scandalo di tutto ciò che scompare a mantenere intatta in Canetti un'immensa forza del ricordo. L'intensità che vibra in ciascuna delle numerose figure che appaiono in queste pagine presuppone tale sottinteso. Ciascuna vuole incidersi nella memoria e nella prosa con segno indelebile. Saranno gli ospiti patetici della pensione Charlotte di Francoforte e gli intellettuali frenetici di Berlino; saranno gli ascoltatori di Karl Kraus e i manifestanti che incendiano a Vienna il Palazzo di Giustizia; saranno l'amata Veza e la deliziosa Ibby; sarà la madre, che i lettori de La lingua salvata conoscono bene e che ora, assillata dalla gelosia per il figlio, lo costringe a una inarrestabile commedia, dove donne "inventate" servono a coprire donne vere e proibite; saranno infine Karl Kraus stesso e Brecht, Grosz, Babel', che Canetti conosce a Berlino. Tutte le loro voci sono qui salvate. E, intrecciata per sempre alla loro, riconosciamo qui la voce di Canetti stesso. Appartengono a questi anni le esperienze che saranno decisive per la sua opera di scrittore: la visione aristofanesca, che sembra offrire "l'unica possibilità di tener unito ciò che si frantumava in mille schegge"; la fascinazione ossessiva per Kraus; la massa, questo enigma incombente come mai prima sul nostro tempo, a cui Canetti dedicherà decenni di riflessione; infine il disegnarsi di una "comédie humaine dei folli", di cui rimane, quale unico, grandioso frammento il romanzo "Auto da fé". Inseguito dalle voci, Canetti non si cura di darci un quadro dell'epoca: ma l'aria di Francoforte, di Vienna e di Berlino in quegli anni circola in queste pagine come una presenza palpabile. In toni opposti, e stridenti fra loro, le città ci parlano di un periodo in cui "ciò che si abbatteva sugli uomini era più che un grande disordine, erano come tante esplosioni quotidiane". Ovunque, Canetti incontra varianti di uno stesso sfondo: il caos, perpetua minaccia e prezioso nutrimento. I suoi bagliori sono quelli del "fuoco", di cui questo libro – come già "Auto da fé" e ogni grande libro – è il "frutto".

Le voci di Marrakech. Note di un viaggio
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Canetti, Elias

Le voci di Marrakech. Note di un viaggio

Adelphi, 23/01/2018

Abstract: Elias Canetti soggiornò per un certo periodo del 1954 a Marrakech. Il grande lavoro su "Massa e potere" era giunto a un momento di stasi e lo scrittore sentiva il bisogno di nuove voci, di voci incomprensibili, come quelle che lo avvolsero nella splendida città chiusa dalle sue mura. Vagando per i suk, per le strette vie, per i mercati e le piazze, fra cammelli, mendicanti, donne velate, cantastorie, farabutti, ciechi, commercianti, Canetti, con la sua stupefacente prensilità, capta forme e suoni: "Gli altri, la gente che ha sempre vissuto là e che non capivo, erano per me come me stesso". E il suo libro ha la perfezione e la compattezza dell'istantaneo.

Il testimone auricolare. Cinquanta caratteri
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Canetti, Elias

Il testimone auricolare. Cinquanta caratteri

Adelphi, 23/01/2018

Abstract: Avete mai incontrato il Leccanomi o il Tirainlungo? O l'Appaltadolori e la Filaguai? O la Sultanomane e il Bentistà? Mah... Per mettere in chiaro le cose e constatare che dietro nomi tanto inusitati si celano molte nostre vecchie conoscenze, oltre a un discreto numero di esseri fantastici e insieme plausibili, occorre sfogliare con attenzione le pagine di questo libro, fra i più leggeri ma non certo meno taglienti di Elias Canetti. Vi troveremo non già una galleria di ritratti morali, alla Teofrasto o alla La Bruyère, ma un album di fisionomie auditive, altrettanto spiccate e inconfondibili di quelle visive. Qui è all'opera un implacabile ascoltatore, il Testimone auricolare, che, se "non affatica la vista, in compenso ha un udito tanto più fine", prende nota di tutto ciò che sente e lo trasforma in personaggio. Lo seguiamo con qualche sgomento per la sua precisione, e insieme gli siamo riconoscenti: grazie a lui scopriremo infatti da quale archetipo discendono certe voci che abbiamo incontrato e ancora ci molestano nel ricordo perché non abbiamo saputo identificarle con sicurezza.

Un regno di matite. Appunti 1992-1993
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Canetti, Elias

Un regno di matite. Appunti 1992-1993

Adelphi, 06/03/2018

Abstract: Canetti appartiene a quegli scrittori che nella vecchiaia hanno raggiunto un grado altissimo di libertà e sovranità dello spirito – qui applicata a ritessere ancora una volta il suo pensiero su temi che lo hanno da sempre accompagnato: la massa, la morte, il mito. Ma la forma degli "appunti", mirabilmente agile, consente a Canetti anche di puntare in tutt'altre direzioni: ammirazioni relativamente recenti e intensissime, come quella per Robert Walser; avversioni antiche che di continuo si riaccendono, come quella per Nietzsche; ricordi acuminati di persone che nella vita di Canetti molto hanno contato, come l'antropologo Franz Steiner o il viennese Abraham Sonne; reazioni a onnivore letture, sempre in corso; infine riferimenti agli orrori del momento, in questo caso Sarajevo e i suoi massacri. E sempre usciamo da queste densissime stenografie corroborati e rinnovati.Avviati nel 1942, gli appunti di Canetti giungono a compimento con questa sezione, apparsa per la prima volta in Germania nel 1996; di prossima pubblicazione presso Adelphi è il volume relativo agli anni 1973-1984.

La rapidità dello spirito. Appunti da Hampstead (1954-1971)
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Canetti, Elias

La rapidità dello spirito. Appunti da Hampstead (1954-1971)

Adelphi, 20/03/2018

Abstract: "La rapidità dello spirito – tutto il resto che si dice dello spirito sono scappatoie che vogliono mascherare la sua assenza. Si vive per questi istanti di rapidità che zampillano come pozzi artesiani dalla desolazione dell'indolenza". È una delle prime riflessioni di questa nuova raccolta degli "appunti" di Canetti, vergati nella casa di Hampstead, in Inghilterra, negli anni che precedono e seguono la pubblicazione di "Massa e potere". Alla "rapidità dello spirito" si accompagna la "brevità dei cinesi", e sono i presupposti di fulminee corse nel tempo e nello spazio (da un millennio all'altro, in Africa, in Australia, persino sulla Luna), di sconvolgenti agnizioni, di brucianti ritratti e frammenti di autoritratto, incontri con padri e patriarchi, con amici vecchi e nuovi, con Plutarco e con Dante, con Machiavelli, Cervantes e Tolstoj, con Gogol' e Kafka, fino al "nuovo fratello" Cesare Pavese, al quale Canetti si scopre legato da una insospettata affinità. Alle lampeggianti riflessioni si alternano parentesi narrative, com'è nello stile di Canetti, che sognava "una vita vagabonda da narratore di storie": "Qualcuno dice una parola, e tu narri la storia. Non smetti mai, di giorno e di notte, diventi cieco, perdi l'uso degli arti. Ma rimane a servirti la bocca, e tu narri quello che ti passa per la testa. Non possiedi nulla, soltanto un numero infinito e sempre crescente di storie. La cosa più bella sarebbe che tu potessi vivere soltanto di parole e non avessi nemmeno bisogno di mangiare".

Il cuore segreto dell'orologio. Quaderni di appunti (1973-85)
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Canetti, Elias

Il cuore segreto dell'orologio. Quaderni di appunti (1973-85)

Adelphi, 24/04/2018

Abstract: I lettori di Canetti sanno che, nella sua opera, dietro le parti visibili si erge un massiccio in larga misura invisibile: quello degli appunti, che Canetti scrive ormai da decenni. Di questi "appunti" conoscevamo sinora "La provincia dell'uomo". E qui si aggiunge "Il cuore segreto dell'orologio" (1987), che comprende gli anni 1972-1985, il periodo in cui Canetti ha scritto i tre volumi della sua autobiografia. Ancora una volta troveremo qui aforismi, immagini balenanti, schegge di ipotesi, romanzi in due righe, riflessioni su scrittori amati e avversati (memorabili gli accenni a Aubrey, a Joubert, a Walser, a Zhuang-zi), osservazioni su un'immensa varietà di temi, infine frammenti di un dialogo serrato con se stesso che permette di intravedere, attraverso preziosi spiragli, le linee di un autoritratto sempre in formazione. Qui, più che mai, Canetti è incisivo, aspro, tagliente, spinto da una sorta di furia dell'essenziale. Il tempo, che induce molti ad arrotondare le punte, per Canetti agisce in senso opposto: ogni elemento subisce una accentuazione e agisce sul lettore come una scossa ravvivante. E, al tempo stesso, mai come in questi "appunti" Canetti sembra concedersi scioltezza di respiro e libertà di movimento in ogni direzione, come se in questa forma trovasse il contravveleno alla poderosa concentrazione che esigono da lui, volta per volta, le sue singole opere. Mai come negli "appunti" Canetti tiene fermo a se stesso e si permette di andare contro se stesso, seguendo un'oscillazione concisamente descritta proprio in queste pagine: "Chi obbedisce a se stesso soffoca non meno di chi obbedisce ad altri. Soltanto l'incoerente non soffoca, colui che si dà ordini ai quali si sottrae. Talvolta, in circostanze particolari, è giusto soffocare".

La tortura delle mosche
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Canetti, Elias

La tortura delle mosche

Adelphi, 24/04/2018

Abstract: Questo libro è la più recente (1992) scelta che Canetti ha estratto da quell'immane miniera di appunti da cui sinora erano affiorati due volumi – "La provincia dell'uomo" e "Il cuore segreto dell'orologio" – e che possiamo ormai intravedere come una delle opere più grandiose e singolari del nostro secolo. Gli appunti di Canetti sono anche, ma non solo, aforismi. Sono racconti in una riga, saggi in cinque righe, ipotesi che spalancano o terrorizzano o alleviano la mente, ritratti di singoli, nuove articolazioni di pensieri, citazioni abbaglianti – e altro ancora. Infine, come Canetti ha accennato una volta, questi appunti sono per lui un modo di respirare. Nella loro irriducibile peculiarità, gli autori a cui più si avvicinano – per la forma asciutta e densa – sono Lichtenberg, Hebbel, Kafka. Alla Tortura delle mosche (il titolo è ricavato da un ricordo sadico di Misia Sert) si può applicare questo pensiero radicale di Canetti: "Dei filosofi avvitati in se stessi egli non sa che farsene. Ha bisogno di filosofi che tocchino dolorosamente, in lui o in altri, punti vitali".

La coscienza delle parole
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Canetti, Elias

La coscienza delle parole

Adelphi, 10/07/2018

Abstract: "In questo volume sono presentati in ordine cronologico i saggi che ho scritto fra il 1962 e il 1974. A un primo sguardo potrà sembrare un po' strano trovare qui riunite figure come Kafka e Confucio, Büchner, Tolstoj, Karl Kraus e Hitler, catastrofi terrificanti come quella di Hiroshima e considerazioni letterarie sulla stesura dei diari o sulla genesi di un romanzo. Ma io mi sono appunto occupato man mano di queste cose, poiché solo in apparenza esse sono fra loro incompatibili. Il pubblico e il privato non sono più separabili ormai, si compenetrano a vicenda in modi che in passato sarebbero apparsi inauditi. I nemici dell'umanità hanno acquistato potere rapidamente, sono assai prossimi alla meta finale, la distruzione della terra, è impossibile non tener conto di loro e ritrarsi nella esclusiva contemplazione di modelli spirituali che ancora possono avere per noi un certo significato. Questi sono diventati più rari, molti che potevano bastare alle epoche passate non hanno in sé una ricchezza sufficiente, il campo che abbracciano è troppo limitato per poter essere utili anche a noi. Tanto più importante diventa dunque parlare dei modelli che hanno retto perfino alla mostruosità di questo nostro secolo". Così scriveva Elias Canetti presentando la prima edizione di questo volume (1974). E spiegava poi che, unica eccezione, era incluso nel libro il suo discorso su Hermann Broch, tenuto a Vienna nel 1936, soprattutto perché in esso aveva formulato i "tre comandamenti" dello scrittore. Essi ci mostrano, nella loro congiunzione, il nodo inestricabile dei rapporti fra lo scrittore e il suo tempo: esserne "l'umile e devotissimo schiavo", avere la "ferma volontà" di darne una "visione d'insieme" e, infine, opporvisi, essere "contro il suo specifico odore, contro il suo aspetto, contro la sua legge". A distanza di quarant'anni, nel discorso di Monaco che chiude questo volume, Canetti offriva poi una definizione che implica quei "tre comandamenti" e schiude l'accesso a tutta l'opera sua, oltre che a questo libro stesso: lo scrittore come "custode delle metamorfosi", erede della capacità mitica di aprire in sé un vasto spazio dove ospitare le figure più contrastanti. Figure che, per lo scrittore, "sono la sua molteplicità, articolata e consapevole, e siccome vivono dentro di lui, rappresentano la sua resistenza alla morte".