Ci sono mani che odorano di buono
Il Cinghio è un quartiere di periferia degradato in cui si vive di droga, furtarelli, botte, spazzatura.
Nei palazzoni che circondano il parco del Cinghio si ritrovano tanti disperati che convivono con tali brutture e se ne sentono parte - ma in mezzo a tanti rifiuti ed indecenze c'è anche spazio per generosità e tenerezza, tanta da commuovermi.
Marta nel freddo di Gennaio, dalla finestra del suo miniappartamento, vede su una panchina del parco una vecchina sola, che siede con pazienza, non si sa chi stia aspettando, non si va a riparare al caldo della propria casa; finchè spinta dalla commozione per tale solitudine, consapevole che una vecchia sola non può resistere così a lungo al freddo, Marta esce di casa e convince quella nonnina sconosciuta a salire da lei per riscaldarsi.
Marta scopre così che Bina, questo il nome della nonnina (vezzeggiativo di Bambina), sta aspettando che il nipote passi a prenderla: Fabio le ha dato appuntamento lì al parco ma non si è presentato e Marta intuisce che non si farà affatto vivo quando, chiamandolo al cellulare, lui prima non risponde, poi addirittura spegne il telefonino rendendosi irreperibile.
Bina resta così per giorni e giorni a casa di Marta, cucina per lei mentre la ragazza si prende cura della vecchia, imparano a conoscersi e sopportano l’una le manie dell’altra, si fanno compagnia, si accudiscono e assistono vedendo crescere un affetto delicatissimo.
Oltre alle due protagoniste nel quartiere c’è un circo di persone altrettanto sole e incasinate quanto Marta. C’è Gianna, la matta del condominio, che litiga e sbraita con se stessa perché nella sua mente c’è la Sorella che la contraddice ed insulta (“il tuo cervello diciamo che ha i pedali al contrario e gli specchietti che non guardano fuori, ma dentro”); c’è Ljuba la badante di Maria, che si prende a cuore un po' tutti nel palazzo; c’è Muna che lavora con Marta; c’è Beniamino, l’amico da una vita di Marta, che con lei è cresciuto e la ama da quando erano bambini; e qualche palazzo più in là c’è Genny, ex prostituta, che a sua volta ha tanto amore da dare e trova in Fabio (il nipote di Bina) la persona di cui prendersi cura.
Fabio se ne approfitta (“Era quasi certo di non provare dolore e si chiedeva perché. Forse non era in grado. Magari ci voleva una predisposizione, come buoni piedi per giocare a pallone, mano ferma per disegnare, intonazione per cantare. Lui non era predisposto alla sofferenza” o più in là “Fabio era una lamiera su cui la pioggia rimbalzava spruzzando tutt’intorno. Sembrava che niente potesse filtrare in profondità”), si nasconde in casa di Genny pestato a sangue da coloro con cui ha contratto un grosso debito, non si fa vivo con la nonna e nel frattempo si innamora di Genny – lui che non lavora, che vuole solo scappare all’estero e che non si interessa di Bina deve imparare ad avere fiducia e ad amare.
Questo è un romanzo di sofferenza, di dolore, di sopportazione - e di immenso amore, di delicatezza, di gentilezza: tutti i personaggi soffrono ed hanno vissuto grosse difficoltà, ma sono sempre disponibili ad aiutare e pronti ad allungare una mano a chi sta peggio di loro.
Al Cinghio c’è violenza e c’è condivisione dei problemi, c’è dolore e sensibilità verso il prossimo, c’è scambio e desiderio di aiutarsi – è un piccolo paradiso di bontà in un immenso inferno di prepotenze e soprusi.
Questo romanzo è molto bello, riconcilia con la vita nonostante tutto il male che possiamo avere provato; è delicatissimo, tutti i personaggi sono reali ed ho vissuto con loro i momenti di speranza e di sofferenza.
L’autrice ne sa descrivere il carattere con grandissimo talento e mi ha comunicato un profondo desiderio di avere una Bina tutta per me; è una coccola che consiglio a tutti di leggere per trovare pace e serenità.
I capitoli sono brevi e la narrazione è spesso condotta in discorso diretto: mi piacerebbe che si ricavasse un film da questo romanzo.
“E’ sera. C’è buio e fa freddo. L’appartamento è piccolo, ma in due ci si sta: mangiamo latte e biscotti, perché il frigo ce l’ho vuoto, ci dormiamo sopra e domani pensiamo a cosa fare”.
“Genny lo osservava.
Forse qualcuno l’ha ospitata – disse.
E perché? E’ vecchia, non ha un soldo.
Io ho ospitato te.
perché ti ho fatto pena.
Perché non si lascia la gente nei casini.
In questo quartiere di merda se bussi sprangano la porta. L’hai detto tu.
Magari non tutti”.